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Gramsci chi?

OENNE: Chi è questo signore, di cui il nostro amico si vuole occupare?
JACOPO: Un uomo politico. In realtà un filosofo. O forse sarebbe meglio dire una persona di buon senso. (pausa) con un vita molto sfortunata.

(Da “Cena con Gramsci” di Davide Daolmi)

Gramsci fu un uomo politico e nella politica – l'azione, la lotta il pensiero – risiede l'unità della sua opera. Anche negli anni del carcere fascista, che ne logorò irrimediabilmente la fibra e ne spense prematuramente la vita, Gramsci fu «un combattente politico», un riformatore europeo e un grande italiano. Egli diede inizio alla più rilevante corrente comunistica critica della stalinismo e alternativa al «marxismo sovietico».
A settant'anni dalla morte Antonio Gramsci (1891-1937) è oggi l'autore italiano contemporaneo più tradotto e studiato nel mondo. Questa «fortuna» è dovuta alle Lettere dal carcere e ai Quaderni del carcere. Le prime costituiscono un monumento della lingua e della letteratura italiana, un esempio di grandezza intellettuale e morale che, riconosciuto come tale fin dall'apparire della loro prima e parziale pubblicazione, nel '47, oggi concorrono alla diffusione della nostra cultura in quasi tutte le principali aree linguistiche del mondo. I secondi, forse ancora più tradotti delle prime, costituiscono un classico del pensiero politico del Novecento.

prof. Giuseppe Vacca
Presidente dell'Istituto Gramsci

Nasce da Francesco (1860 - 1937) e Peppina Marcias (1861 - 1932). Francesco, originario di Gaeta, era studente di legge quando morì il padre, colonnello dei carabinieri; dovendo trovare subito un lavoro, partì per la Sardegna nel 1881 per impiegarsi nell'Ufficio del registro di Ghilarza. Qui conobbe Peppina, che aveva studiato fino alla terza elementare; malgrado l'opposizione dei suoi genitori, rimasti in Campania, la sposò nel 1883. Nacquero Gennaro, nel 1884, Grazietta, nel 1887, Emma, nel 1889 e nel 1891, ad Ales, Antonio, battezzato il 29 gennaio.
L'anno dopo i Gramsci si trasferiscono a Sorgono dove nascono gli altri figli, Mario nel 1893, Teresina nel 1895 e Carlo nel 1897. Arrestato il 9 agosto 1898 con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, Francesco Gramsci viene condannato il 27 ottobre 1900 a 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, per la famiglia Gramsci sono anni di estrema miseria. E Antonio, per una caduta all'età di tre anni, rimane deforme e non cresce più: la sua altezza non supererà il metro e mezzo; la sua bellezza è tutta negli occhi, di un azzurro limpido e intenso.
Comincia a frequentare le scuole elementari a sette anni e le conclude nel 1903 col massimo dei voti ma le condizioni della famiglia non gli permettono di iscriversi al ginnasio e dà il suo piccolo contributo all'economia domestica lavorando all'Ufficio del Catasto per 9 lire al mese - l'equivalente di un chilo di pane al giorno - 10 ore al giorno smuovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».
Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci finisce di scontare la sua pena. Sarà poi riabilitato e potrà ottenere un impiego da scrivano nell'Ufficio del Catasto. Antonio può iscriversi nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi». Con questa preparazione avventurosa riesce a prendere la licenza ginnasiale a Oristano, nell'estate del 1908 e a iscriversi al Liceo Dettori di Cagliari, dove sta a pensione, insieme col fratello Gennaro, che lavora in una fabbrica del ghiaccio.
Nel 1911 il Collegio Carlo Alberto di Torino offre 39 borse di studio, equivalenti a 70 lire al mese per 11 mesi, per poter frequentare l'Università di Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa». Il 27 ottobre 1911 conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo posto è uno studente venuto da Sassari, Palmiro Togliatti.
Si iscrive alla Facoltà di Lettere ma le 70 lire non bastano: «la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata».
A Torino va ad abitare in una soffitta all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al Partito socialista. È in ritardo con gli esami, a causa di «una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un furibondo».
Prende lezioni private di filosofia dal professor Annibale Pastore e frequenta i giovani compagni di partito, fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini: «uscivamo spesso dalle riunioni di partito [...] mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci [...] continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del sogno».

L'attività giornalistica

Dai primi mesi del 1916, in piena guerra, è uno dei tre redattori del settimanale della Sezione socialista torinese Il Grido del popolo e del foglio torinese dell'Avanti! nella rubrica Sotto la Mole; vi pubblica brevi pezzi pamphlettistici e di critica teatrale con i quali contribuirà a rendere popolare il teatro di Pirandello, allora incompreso e deriso. Si toglie dall'isolamento della sua vita di studente povero e scontroso, frequentando operai, tenendo alcune conferenze nei circoli socialisti e scrive da solo il numero unico del giornale dei giovani socialisti La Città futura, uscito l'11 febbraio 1917.
Qui mostra la sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce, superiori perfino a quelli dovuti a Marx.
Nel marzo 1917 lo zar di Russia è rovesciato e viene instaurato un moderato governo liberale; le notizie giungono in Italia parziali e confuse, ma il 29 aprile scrive che «la rivoluzione russa è [...] un atto proletario e essa naturalmente deve sfociare nel regime socialista» e in maggio sostiene che Lenin «ha suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo».
Anche in Italia le difficoltà della guerra e l'eco della rivoluzione russa portano a sommosse spontanee duramente represse dal governo; la rivolta per il pane di Torino del 25 agosto 1917 provoca una dura reazione: 50 morti, più di duecento feriti, Torino dichiarata zona di guerra e conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena che colpiscono non solo coloro che alla sommossa avevano partecipato ma indiscriminatamente anche elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione socialista con l'accusa di istigazione alla rivoluzione. In conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione socialista torinese viene assunta da un comitato di dodici persone, del quale fa parte anche Gramsci, il quale rimane l'unico redattore de Il Grido del popolo che cesserà le pubblicazioni il 19 ottobre 1918.
I bolscevichi prendono il potere in Russia il 7 novembre 1917 ma per settimane in Europa giungono solo notizie confuse, finché il 24 novembre l'edizione nazionale dell' Avanti! esce con un editoriale dal titolo La rivoluzione contro il Capitale, firmato da Gramsci.
Finita la guerra, dal 5 dicembre 1918 Gramsci lavora unicamente all'edizione piemontese dell'Avanti! ma i giovani socialisti torinesi, Gramsci, Tasca, Togliatti e Terracini intendono esprimere, dopo la rivoluzione russa, nuove esigenze nell'attività politica socialista, che non sentono rappresentate dalla Direzione nazionale: «Volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana». L'1 maggio 1919 esce il primo numero dell' Ordine Nuovo con Gramsci segretario di redazione e animatore della rivista.

L'Ordine Nuovo

La testata del primo numero (1 maggio 1919) de "L'Ordine Nuovo" diretto da Antonio Gramsci
La linea politica della rivista, dopo un avvio incerto, si definisce su posizioni nettamente operaistiche: tra i suoi scopi è quello di porre all'ordine del giorno, sotto l'esempio dei Soviet, la necessità d'introdurre nelle fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica; di fronte all'opposizione di Tasca che concepiva il settimanale come una "rassegna di cultura astratta", Gramsci scrisse poi di aver ordito con Togliatti «un colpo di Stato redazionale: il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente nel numero 7 della rassegna [...] divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era posto come problema fondamentale della rivoluzione operaia [...] della libertà operaia».
Gli operai amarono il settimanale perché «gli articoli non erano fredde architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali della classe operaia torinese [...] erano quasi un prendere atto di avvenimenti reali».
Appoggia lo sciopero dell'aprile 1920, l'occupazione delle fabbriche del settembre successivo e il fallito sciopero dell'aprile 1921 e polemizza contro la direzione del partito socialista; tanto contro i massimalisti che i riformisti, indica un programma che riscuote l'esplicita approvazione di Lenin al II Congresso della III Internazionale comunista che chiede l'espulsione dal partito dei riformisti e di alcuni dirigenti massimalisti.

La fondazione del Partito comunista

La scissione si realizza il 21 gennaio 1921, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita del Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale. Nel Comitato centrale entrano due ordinovisti, Gramsci e Terracini, mentre l'Esecutivo viene composto da Amadeo Bordiga, Bruno Fortichiari, Luigi Repossi, Ruggiero Greco e Umberto Terracini.
La linea del partito è data da Bordiga, del quale Gramsci non condivide le posizioni settarie, senza però prendere contro di esse un'esplicita posizione.
Esaurita la spinta rivoluzionaria, negli scenari europei si prospetta una reazione politica per fronteggiare la quale sarebbe necessario che i partiti socialisti e comunisti facessero fronte comune, ma Bordiga è contrario a ogni accordo, ancora una volta in contrasto con la direzione dell'Internazionale; nel secondo Congresso Nazionale comunista, tenuto a Roma nel marzo 1922, Gramsci, pur dissentendo privatamente, nuovamente non si esprime contro le posizioni della maggioranza bordighiana.
Alla fine di maggio parte per  Mosca, designato a rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale comunista. Vi arriva già malato e nell'estate è ricoverato in un sanatorio per malattie nervose di Mosca. Qui conosce una degente russa, Eugenia Schucht, una violinista che ha vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Giulia (1894 - 1980), anch'ella violinista, che aveva abitato diversi anni a Roma diplomandosi al Liceo musicale romano.

L’INCONTRO CON GIULIA
Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato: ricorderà il «primo giorno che [...] non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito [...] al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile». Si sposano nel 1923 e avranno due figli, Delio, il 5 settembre 1924 e Giuliano, il 30 agosto 1926.
Ma intanto, in Italia, vengono arrestati, nel febbraio 1923, tanto Bordiga che, in settembre, a Milano, i rappresentanti del nuovo Esecutivo. Gramsci resta così il massimo dirigente del Partito e a novembre si trasferisce a Vienna per seguire più da vicino la situazione italiana.
Il 12 febbraio 1924 esce a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale, da lui scelto, viene giustificato dalla necessità dell' «unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo».

Deputato al Parlamento

Viene eletto deputato nelle elezioni del 6 aprile e può rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare, il 12 maggio 1924. Nello stesso mese, nei dintorni di Como, si tiene un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni comuniste italiane: i delegati si fingono dipendenti di un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a Mussolini; a parte, discutono della tattica del partito e la linea di Bordiga, pur escluso dall'Esecutivo, risulta ancora nettamente maggioritaria.
Il 10 giugno un gruppo di fascisti rapisce e uccide il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembra che il fascismo stia per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorre il Paese, ma non è così; l'opposizione parlamentare sceglie la linea sterile di abbandonare il Parlamento (la cosiddetta Secessione dell'Aventino): i liberali sperano in un appoggio della Corona, che non viene, i cattolici sono ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi ultimi sono ostili a tutti, comunisti compresi; l'opposizione dell'Aventino, secondo Gramsci, non ha alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».
Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci crede che la caduta del regime sia imminente: il fascismo «è riuscito a costituire un'organizzazione di massa della piccola borghesia. È la prima volta nella storia che ciò si verifica. L'originalità del fascismo consiste nell'aver trovato la forma adeguata di organizzazione per una classe sociale che è sempre stata incapace di avere una compagine e un'ideologia adeguata» ma, secondo lui, «le classi medie che avevano riposto nel fascismo tutte le loro speranze sono state travolte [...] Il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folclore paesano, destinato a passare alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che nell'ordine dei Cromwell, dei Bolivar, dei Garibaldi».
S'inganna, perché l'inerzia dell'opposizione non riesce a dare alternative a quel blocco sociale e i fascisti riprendono coraggio e, soprattutto, ricominciano le violenze squadriste. In una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 13 settembre, quando il militante comunista Giovanni Corbi uccide in un tram il deputato fascista Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s'inasprisce.
Il 20 ottobre Gramsci propone vanamente che l'opposizione aventiniana si costituisca in Antiparlamento; il 26 parte per la Sardegna, per intervenire al congresso regionale del partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congeda dalla madre, che non avrebbe più rivisto.
Il 12 novembre 1924 il deputato comunista Luigi Repossi rientra in Parlamento, dove siedono solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti, e il 26 vi rientra tutto il gruppo parlamentare comunista.
Il 3 gennaio 1925 Mussolini, in un discorso rimasto famoso, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.
Dal febbraio all'aprile 1925 Gramsci è a Mosca per conoscere finalmente il figlio Delio e rivedere la moglie. Il 26 maggio, in Italia, tiene il suo primo - e unico - discorso in Parlamento, davanti all'ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro; con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti: secondo Gramsci «con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine [...] voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso [...] le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi».

Il Congresso di Lione

Dal 20 al 26 gennaio 1926 si svolge clandestinamente a Lione il III Congresso del Partito dove la maggioranza che ha a capo Gramsci presenta le sue Tesi congressuali.
Secondo Gramsci il fascismo non è, come ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante ma è il prodotto politico della piccola borghesia urbana e agraria che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica e disciplinato negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle frazioni.
Il Congresso approva le Tesi a grande maggioranza ed elegge il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito.
Tornato a Roma, ha il tempo di passare alcuni mesi con la famiglia. La moglie, che aspetta il secondo figlio Giuliano, lascia l'Italia il 7 agosto 1926, mentre la cognata Eugenia torna a Mosca il mese dopo con il figlio Delio; Gramsci scrive del figlio che «mi pare che ora incominci per lui una fase molte importante, quella che lascia ricordi più tenaci, perché durante il suo sviluppo si conquista il mondo grande e terribile». Ma non sarà mai parte dei ricordi del figlio, perché non lo vedrà più.

L'arresto, il processo e il carcere

Il 31 ottobre 1926 Mussolini subisce a Bologna un attentato senza conseguenze personali, che viene però preso a pretesto per eliminare gli ultimi residui di democrazia: il 5 novembre il governo scioglie i partiti politici di opposizione e sopprime la libertà di stampa. L'8 novembre, in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci viene arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Dopo un periodo di confino a Ustica, il 7 febbraio 1927 viene detenuto nel carcere milanese di San Vittore.
Il processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Giovanni Roveda ed Ezio Riboldi, inizia a Roma il 28 maggio 1928; Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all'odio di classe.
Il pubblico ministero Michele Isgrò, a conclusione della sua requisitoria, dichiara che «per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare» e infatti Gramsci, il 4 giugno, è condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione; il 19 luglio raggiunge il carcere di Turi, in provincia di Bari.
La tomba di Gramsci
L'8 febbraio 1929 ottiene finalmente l'occorrente per scrivere e inizia la stesura dei suoi Quaderni del carcere. Dal 1931 Gramsci soffre di una grave malattia, il morbo di Pott, oltre a principi di tubercolosi e di arteriosclerosi, e può ottenere una cella individuale; cerca di reagire alla detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di salute peggiorano e in agosto Gramsci ha un'improvvisa e grave emorragia.
Il 30 dicembre 1932 muore la madre e i famigliari preferiscono non informarlo. Il 7 marzo 1933 ha una seconda grave crisi, con allucinazioni e deliri: a Parigi si costituisce un comitato, per la liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il 19 novembre Gramsci viene trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7 dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato sia in camera che all'esterno.
Il 25 ottobre 1934 viene accolta da Mussolini la richiesta di libertà condizionata ma non è libero nei suoi movimenti, tanto che gli è impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo teme una sua fuga; solo il 24 agosto 1935 può essere trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma. È in gravi condizioni: oltre al morbo di Pott, alla tisi e all'arteriosclerosi, soffre di ipertensione e di gotta.
Il 21 aprile 1937 Gramsci riacquista la piena libertà ma è ormai gravissimo in clinica: muore all'alba del 27 aprile, a quarantasei anni, di emorragia cerebrale. Cremato, il giorno seguente si svolgono i funerali, cui partecipano soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri vengono inumate nel cimitero del Verano e di qui trasferite, dopo la Liberazione, nel Cimitero acattolico di Roma.

(Testo tratto da Wikipedia, enciclopedia libera on-line)

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