La figura di Antonio Gramsci rappresenta una
delle più singolari operazioni di rimozione collettiva secondo
i termini che la psicanalisi attribuisce a questo concetto. Gramsci e
la concezione dell’egemonia culturale hanno caratterizzato in maniera
significativa la storia italiana. Sono stati alla base di quel peculiare
rapporto tra la sinistra politica e il mondo intellettuale e dell'arte
che è stato così caratteristico nel nostro Paese. Scrittori,
cineasti, uomini di teatro, attori, poeti: il vasto campo della cultura
italiana legata in maniera sempre dialettica con la cultura progressista
ha rappresentato l'incarnazione di quella strategia politica su cui Gramsci
aveva tanto riflettuto negli anni della prigionia. Questo processo ha
portato alla nascita di alcuni grandi patrimoni culturali del Paese che
hanno rappresentato fenomeni di portata mondiale, si citino solo come
esempio la straordinaria avventura del Piccolo Teatro di Milano o il fenomeno
del Neorealismo e della Commedia all'italiana nel cinema. Ne costituisce
un esempio principe la riflessione sul ruolo della cultura popolare, la
rivalutazione in qualità di critico teatrale di Pirandello e della
sua capacità di parlare, con il suo teatro, alle persone in modo
più diretto ed efficace del teatro del tempo.
Uno strano destino ha condizionato per tre volte la relazione di Gramsci
con gli altro, con il suo Paese, con il popolo. Così straordinariamente
vocato all'impegno civile egli stesso più volte ricorda però
nelle lettere come la sua educazione e la sua malattia, le sue difficoltà
fisiche, lo avessero reso introverso e avessero reso difficile la sua
relazione con gli altri. Gramsci stenta nella fase della sua formazione
ad entrare in relazione diretta. Sembra riuscirci in quel magico 1924,
in cui nasce il suo primo figlio e inizia il suo impegno in Parlamento.
Segretario del PCd'I diventa una figura di riferimento per le masse. Ma
è il carcere a costruire di nuovo la distanza, un terribile universo
di non detti, di censure e autocensure, con il partito, con la famiglia,
con gli amici più cari. Un bisogno di comunicare e di scrivere,
un bisogno di risposte e l'impossibilità di costruire un rapporto
lineare. Ancora molto bisognerebbe scrivere su quella drammatica dimensione
psicologica del padre, dello sposo, dell'attivista recluso. E poi, dopo
la morte, dopo la guerra, diventato simbolo universale di nuovo la distanza:
un volto, forse tra i più noti, quasi un'unica fotografia, un'unica
immagine per i posteri, un nome quasi universalmente conosciuto e dietro
nulla. Dietro quel nome e quell'immagine è sempre più difficile
trovare chi associ un periodo, una professione, un ruolo e soprattutto
le idee: un'icona pura a simboleggiare una mente che ha scritto alcune
delle riflessioni più attuali sulla odierna società della
comunicazione, sui linguaggi, sul senso comune, sul bisogno di tradurre
linguaggi tecnici in linguaggi popolari, sulla teoria del consenso, sulla
costruzione dell'immaginario di una classe, si un popolo, di un intero
Paese. è l'immaginario che genera il futuro, Gramsci, ci sembra,
più che studiato va fatto rivivere. Proprio l'arte a cui così
tanto la sua riflessione teorica aveva dato, gli può dare nuova
vita e nel teatro diventa quotidiano, odierno, comprensibile.
L'arte non ha davvero nulla a che fare con la conoscenza?
Non c'è nell'esperienza dell'arte una rivendicazione di verità,
diversa certo da quella della scienza, ma altrettanto certamente non subordinabile
ad essa?
(H. G. Gadamer, Verità e metodo, trad. it. G. Vattimo)
Roberto Rampi

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Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani, Eugenio Finardi
con il cubo del progetto "Nino, appunti su Antonio Gramsci"
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